A tu per tu con clienti, studenti, dirigenti etc.

Gli occhi costituiscono un importante strumento di contatto. Sono una parte importante dei nostri ”confini”. E come tali possono essere chiusi ed impermeabili, pronti alla difesa contro ogni invasione, o anche inesistenti per permettere la totale unione, o il massimo livello di intimità possibile.

Durante il lavoro…

In condizioni normali è tuttavia desiderabile che si comportino come i confini di un paese civile: siano cioè elastici per permettere scambi e comunicazioni nel rispetto della mutua indipendenza e diversità.
La prima esigenza di chiunque si rivolge al “personale competente”, sia per chiedere un’informazione o acquistare dei BOT, o addirittura intraprendere una terapia, è di essere “visto”, ossia essere riconosciuto, ricevere attenzione. Attraverso il contatto visivo le due parti devono sentire riconosciuto sia il proprio ruolo che la propria persona, stabilire un contatto che permetta un soddisfacente scambio, il che significa aprire parzialmente i propri confini.

Intimi, estranei o…

Ora, un contatto protratto a lungo tra due paia d’occhi può costituire un’occasione di rapporto relativamente intimo. Ed è più che giustificato che alcuni non siano in grado di sostenere un alto livello di intimità per tutta la giornata lavorativa. A volte sostenere troppi contatti visivi o contatti troppo intensi può renderci esausti. Rischiamo di scivolare nella sindrome del “burn out”.
Molte persone reagiscono semplicemente cercando di evitare tale contatto, con conseguenze, come è facile intuire, spesso negative: non ricevere attenzione (visiva) è vissuto dal cliente più o meno consciamente come un comportamento offensivo (quello di evitare il contatto visivo è un meccanismo messo spesso in atto dagli ipermetropi).
Altri sviluppano uno stile di vista difensivo: i loro occhi guardano fissamente ma non vedono realmente, non accolgono, sono come dietro uno schermo. Questo, che è un atteggiamento comune nella miopia, può essere un’abitudine nata dalla necessità di difendersi sfuocando un po’ occhi che incutono timore (poi gli occhiali finiscono per aggiungere un’ulteriore barriera difensiva contro il contatto).
In ultimo, un po’ tutti imparano nella nostra società a rendere i propri occhi più… “resistenti’ al contatto visivo, sviluppando uno sguardo aggressivo o comunque duro, certo non espressivo.

Tutte queste soluzioni, per lo più inconsce, al problema di come affrontare (o sfuggire) il contatto visivo sono per lo meno inadeguate, pur costituendo la norma.

Non dobbiamo comunque innamorarci dei nostri clienti … oppure si?

D’altro canto, è bene che sia possibile in ogni momento esercitare un po’ di controllo sul proprio coinvolgimento empatico, e quindi emotivo. Non bisogna quindi cercare di adottare uno stile di contatto visivo totalmente coinvolgente, totalizzante, che esclude il resto del campo visivo (lo sguardo degli innamorati che, come cantava GIno Paoli, sono sempre soli, dimenticando il resto del mondo, persi l’uno nell’altra).

Inoltre quando osserviamo una persona negli occhi dovremmo essere in grado di cogliere nello stesso tempo anche le sfumature del suo atteggiamento, la comunicazione non verbale che avviene attraverso tutto il corpo. E dobbiamo altresì mantenere il contatto con l’ambiente, non perdere la visione globale di ciò che accade intorno a noi.

Soft Vision

Uno sguardo attento ma mobile, mantenendo l’attenzione periferica per cogliere tutti i segnali che provengono da viso, corpo e movimenti, senza cancellare mai la visione periferica: tutto ciò è stato definito “soft vision”, cioè visione soffice, o visione diffusa, sicuramente imparentata con l’Open Focus di Louis Fehmi, ma anche ben radicato nel rapporto batesiano tra visione centralizzata e periferia. Si tratta di mantenere un’attenzione ricettiva (empaticamente positiva) al centro della nostra visione (cioè agli occhi del nostro interlocutore) senza escludere il resto del nostro campo visivo, che è di almeno 120 gradi, ed eventualmente essere pronti a spostare rapidamente il centro dell’attenzione, se qualcosa nella nostra vista periferica ce lo richiede (per es un altro cliente).
Questo modo di vedere è stato anche definito “l’occhio del regista” per la capacità di cogliere gli insiemi pur mantenendo la concentrazione su un dato centrale.

Ma gli occhiali…

Eh si, gli occhiali tutto questo non lo permettono. Anzi, cercare di farlo nonostante gli occhiali può essere realmente stancante.
La via di uscita è la Visione Naturale, cioè riimparare il modo facile, senza sforzo di usare gli occhi utilizzando tutte le loro capacità.
Questo ci permette di migliorare la vista anche come nitidezza e, come bonus, lavorare meglio con il pubblico. Anzi, divertirci a farlo.

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